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Mi vergogno di dire che vado a lavorare
Mi vergogno di dire che vado a lavorare
Era un venerdì durante le festività natalizie quando mia cugina venticinquenne, sei anni più giovane di me, mi chiese di accompagnarla ad una feste di compleanno. Accettai volentieri per farle piacere, ma ... anche perché amo conoscere gente nuova e nuovi giri di persone. La festa riuscì davvero bene quaranta persone divertenti e leali invitate con la formula del “ognuno paga la sua quota” a parte torta e spumante offerto dalla festeggiata. Ho avuto il piacere di conoscere tante persone, ma ho faticato molto a sentirmi a mio agio. Quasi la metà di questi ragazzi e ragazze erano ancora studenti in prossimità di laurearsi e dividevano una sigaretta a metà dopo la cena; un altro piccolo gruppo, 12 o 14 di essi, vivevano facendo dei lavoretti in attesa di tempi migliori; tutti gli altri non facevano nulla! Come chiunque credo di essere bene informato sulla crisi e il problema della disoccupazione giovanile, ma trovarti di fronte a tale squallida realtà è un’altra cosa! Mi sono sentito un verme, mi sono sentito in colpa: io con il posto fisso e le rate della macchina nuova. Qualcuno mi ha chiesto che facevo ed io vigliaccamente ho risposto: lavoricchio! La notte e il giorno dopo ho continuato a pensare a quei ragazzi, mi sono chiesto più volte come fanno ad essere così allegri e apparentemente spensierati; ho continuato a sentirmi un verme per tutte le volte che mi son lagnato dentro pensando al mio lavoro. Sto frequentando alcuni di essi che trovo davvero simpatici, ma ho inventato una storia per giustificare la mia esigenza di non fare tardi la sera. Mi vergogno di dire loro che vado a lavorare.
Elisabetta Vellone