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Lavoro e infantilizzazione sociale
Chi non si è chiesto almeno una volta: ma quando usciremo da questa crisi? Ma come usciremo da questa crisi? Tornerà il mercato del lavoro ad aprirsi e garantire alle persone di buona volontà il diritto di cercare e trovare un’occupazione dignitosa ed adeguata? Aspettiamo con fiducia questa primavera del risveglio occupazionale e intanto approfittiamo per riflettere un po’.
I politici, gli esperti, i potenti sono molto occupati a cercare la formula terapeutica per far ripartire l’economia e la produttività del paese. In funzione di ciò fanno un sacco di straordinari e dicono tante, tante cose importanti, talmente importanti che in pochi riescono a capirle. Ma la gente comune, che è molto meno occupata anzi soprattutto disoccupata, quando non perde la testa, ha tanto tempo per pensare, sperare e riflettere pazientemente.
Pensando al mondo del lavoro, a rigor del giusto, è doveroso, però, fare un po’ l’avvocato del diavolo”. E’ vero che il lavoro sta attraversando una fase di vera e propria crisi di identità, come è vera la improvvisa proliferazione di nuove forme di lavoro strozzanti che non garantiscono nulla e non promettono nessun futuro certo, ma è anche vero che tutto ciò che accade, tutti i fenomeni di cui ci lamentiamo sono frutto della nostra stessa opera; siamo tutti responsabili, anche se in percentuali diverse dei fenomeni sconvenienti che ci angosciano quindi anche della crisi e della confusione generale che regna. In altre parole, vogliamo evidenziare una nuova tendenza sociale, quella definita la sindrome di Peter Pan.
Sembrerebbe che l’uomo si stia infantilizzando e non più in grado di crescere e divenire adulto. Già da qualche generazione si è evidenziata questa tendenza a stazionare ostinatamente nella fase evolutiva della preadolescenza; fase di crescita in cui si è appena strutturata una bozza dell’Io persona, ma trattandosi di una fase di sperimentazione e ricerca è, naturalmente, caratterizzata da incoscienza, incapacità ad assumersi responsabilità, facilità a sognare ad occhi aperti, facilità ad esporsi a rischi ed anche da un sano delirio di onnipotenza alternato da fasi di paure e disperazioni improvvise.
Si,la nostra società si sta infantilizzando. Tutti bambini fino a quarant’anni. Poco impegnati, viziati, poco responsabili, poco affidabili, egocentrici, superficiali, impulsivi, presuntuosi, spesso incapaci e immaturi. Tutti conoscono a memoria i propri diritti, ma ignorano qualsiasi forma di dovere. L’educazione dei giovani è a rischio. Se l’adulto emula il bambino chi insegnerà ai bambini a divenire adulti? Che fine faranno i valori portanti se nessuno sarà in grado di riconoscerli, sostenerli e perpetuarli? Quale richiamo fare, e a quale titolo, a quei milioni di giovani diplomati o laureati che aspettano il lavoro altalenandosi fra il gruppo di amici, i giochetti digitali e il viso smunto e lo sballo?
Dr.ssa Elisabetta Vellone