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Il virus della rabbia nell’uomo
Frequentando i circoli sportivi non di rado si può godere della tenera visione di coppie (nella vita privata) che giocano il doppio facendo coppia anche sul campo da tennis. Ci piace pensare, nel guardarli, alla preziosa alleanza di fatto estesa anche al tempo libero, allo sport amatoriale e al divertimento in quanto mettono in luce la magia dell’appartenersi a vicenda, del completarsi e donarsi reciprocamente dando luogo a quell’ ”uno” che è poi il principio dell’umanità.
Purtroppo però altrettanto frequentemente ci vediamo costretti a constatare che solo “da lontano fanno una bella vicinanza” mentre purtroppo
il più delle volte proprio le coppie sul campo si rivelano rivali spietati fra di loro, si criticano reciprocamente, si accusano, si lanciano sguardi iracondi e si pongono come maestri l’uno dell’altra offrendo uno spettacolo a dir poco pietoso dove l’avversario da battere sembrerebbe il proprio compagno/a.
Tutti sanno che fare coppia sul campo da tennis significa allearsi, empatizzare, collaborare e sostenersi a vicenda, poiché l’andamento della partita e l’esito di questa dipendono dall’integrazione e l’armonia realizzata dalla prestazione condivisa, dove detta condivisione presume una implicita condizione i pari responsabilità e pari dignità sportiva.
Ma è proprio questo il “nodo marinaro” di queste coppie disfunzionali l’insofferenza e il rifiuto della pari responsabilità e pari dignità. Anche se gli attori di turno non se ne rendono conto inconsciamente ripropongono le loro rigide posizioni relazionali dove il dominante accanitamente difende e impone il proprio dominio e il dominato coglie l’occasione per sfogarsi vendicarsi ed allentare un po la repressione che subisce.
Stiamo parlando dell’ira o della la rabbia repressa che oggi gode di flotte di seguaci in ogni ambito sociale. Le persone sempre più rabbiose e aggressive sembrano perennemente a caccia di una vittima sulla quale sparare la propria rabbia, la propria energia distruttiva. E’ opportuno sapere che detto miserabile sentimento non piove dal cielo, ma è prodotto dalla stessa mente che lo contiene in seguito all’accumulo di torti ricevuti, di violenze subite e grave frustrazione dei bisogni primari.
D'altronde era prevedibile il fenomeno in questione data una società che va negando ad oltranza ogni istituto deputato all’accudimento, alla cura e alla protezione della persona; era prevedibile lo scollamento e l’isolamento degli individui e conseguente recupero ed utilizzo degli istinti primordiali di sopravvivenza.
Non c’è più il genitore, il nobile senso di appartenenza reciproca, non c’è più la famiglia alleata con la scuola. Non c’è governo responsabile e cosciente. Nessuna attività sociale considera la persona come al “centro” di tutto. La rabbia aumenta e come un virus miete vittime sempre più numerose. E’ pur vero che con una terapia psichica se ne potrebbe uscire, ma il rabbioso, l’iracondo sono soggetti che non andranno mai in terapia in quanto convinti che si infuriano solo perché “l’altro si comporta male”.
Allora non ci resta che sperare in un secondo Louis Pasteur il quale nel 18° secolo realizzò il vaccino per la rabbia del cane; oggi avremmo bisogno di un vaccino per la rabbia dell’uomo, poiché questi è troppo arrogante e rabbioso per dare spazio alla coerenza e comprendere il valore e la semplicità delle leggi di vita.
Dott.ssa Elisabetta Vellone