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Fa più male un kalashnikov o un pene?
Il becero comportamento umano di questa traviata epoca storica, la nostra, sta evidenziando accelleratamente tutte le nefaste conseguenze, previste e prevedibili, della scelleratezza umana.
Viviamo l’epoca dell’immagine e della filosofia dell’usa e getta. Gli individui digiuni ormai da tempo di ogni principio morale, sprovveduti di intelligenza previsionale e capacità affettive vivono usando/abusando e poi gettando “tutto e tutti”; ciò vale per l’aria che respiriamo, per la madre terra sulla quale viviamo, per le acque, i beni materiali e le stesse persone, queste ultime, proprio come oggetti si tengono a se finché fanno comodo o fanno piacere e poi con glaciale indifferenza vengono gettati nel non riciclabile.
Ora spostando l’attenzione sull’attualissimo fenomeno in crescendo, prevedibile e non previsto, dello stupro delle donne, il quale oltre alla filosofia dell’usa e getta contempla in se l’abuso violento del corpo e della psiche altrui, e che non ha nulla a che vedere con l’atto sessuale, è opportuna qualche riflessione.
Lo stupro è assimilabile ad un’azione di “guerra” intesi come contesto di totale trasgressione dei limiti umani. Quindi guerra/stupro nella sua natura più atroce dove uccidere non basta bisogna distruggere, violare, razziare, mutilare, devastare in nome di una qualche irrazionale ed ossessiva avidità.
In guerra il kalashnikov, al pari di altre armi letali, viene impugnato per uccidere il nemico, per sottometterlo, per dominarlo, spodestandolo di ogni diritto e di ogni dignità; nello stupro l’organo genitale caricato a pallettoni viene impugnato per uno squallido colpo orgasmico obbligando la preda a sottostare sottomettendola, dominandola, sfregiandola, negandogli ogni diritto umano e ogni dignità; dove ucciderla nell’animo non basta essa viene violentemente stuprata, derubata del suo pudore, usata e riusata e poi abbandonata , metaforicamente, nel non riciclabile come se fosse un “bisogno” lasciato dietro un cespuglio.
Il dopo guerra, per coloro che non perdono la vita, è un momento di rinascita, di riattivazione di speranze e nuovi entusiasmi, è un momento di riscoperta dei rapporti umani e del valore della vita; il dopo stupro è un percorso grigio e solitario dove ogni giorno si muore un po’ dentro. La vittima avverte commiserazione, compassione, ma anche un certo vuoto intorno. Il proprio corpo è percepito come sporco e indegno; i pensieri intrusivi della violenza come filmini attraversano e devastano la mente.
Il soggetto perde l’amore per se stesso, per la vita e per il proprio corpo dal quale spesso sogna di uscire fuori, di cancellare tutto, ma la luce della vita si è spenta e le tenebre opprimono incessantemente il suo corpo e la sua mente, pertanto e per molto altro, è indubbio: fa più male il pene che il kalashnikov.
Dott.ssa Elisabetta Vellone