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la vita sta perdendo valore?
Con umana amarezza ci accingiamo a considerare un fenomeno triste e spaventoso al contempo relativo all’ipotesi di apparente perdita di valore del “dono della vita”.
Inutile elencare i recenti numerosi suicidi ad opera di giovani e giovanissimi o il lungo elenco di omicidi efferati ai danni di un partner il quale manifesti intenzione di interrompere una relazione o, ancora, la morte violenta indotta a genitori non compiacenti, oppure le violenze gratuite perpetrate ad opera di bulli assetati di malvagio dominio sulla persona altrui.
Nostro obiettivo in questa sede non è quello di sostituirci alla cronaca, ma cercare di fare luce su cosa si cela dietro questo tetro palcoscenico.
Si potrebbe a ragione supporre che l’essere umano stia perdendo la capacità di amare vista la chiara tendenza alla possessività di cose e persone, ma ciò non spiegherebbe comunque il fenomeno preso in esame. È con tale intento allora occorre considerare l’età della formazione della persona e le leggi che la regolano; il bambino nasce con una bozza di personalità da non confondere con il carattere che è frutto di un processo di apprendimento pilotato e nutrito da una intima griglia valoriale innata.
Tornando alla tendenza comportamentale lesiva ed autolesiva di cui sopra è quindi doveroso posare l’attenzione sulle capacita soggettive a gestire i “NO” della vita; ovvero la capacità di gestire una frustrazione.
Da qualche generazione si nota come, con andamento crescente, nella scaletta valoriale genitoriale i figli non sono più il dono più prezioso della vita, ma anzi a volte sono vissuti quali un’incombenza faticosa e limitante; mentre in altre una proprietà personale; alcune volte in un baluardo di cui gloriarsi.
Da dette devianti letture della genitorialità evince un pericoloso prevalere dell’egoismo contemporaneamente ad una altrettanto pericolosa carenza di vero amore. Il genitore che segue l’EGO non ha né tempo, né la testa per donarsi amorevolmente alla cura e l’educazione della prole, tant’è che inconsciamente per placare il senso di colpa tenderà a compensare, prendendo in giro sé stesso e il proprio piccolo, “concedendo” ad oltranza e dando raramente il buon esempio.
Egli elargisce beni materiali superflui e mai richiesti, consente libertà esagerate; impartisce regole blande o neanche se non addirittura insussistenti eludendo l’insegnamento dei valori veri, , dei principi morali, il valore della persona e del dono della vita.
Da tutto ciò e molto non detto si organizza nel tempo una griglia cognitiva e un profilo comportamentale propri di un soggetto fragile, difficile e infelice, tendenzialmente aggressivo, incline a pretendere di ottenere sempre ciò che desidera, allergico a qualsiasi forma di sacrificio, psicologicamente anaffettivo, incapace di empatizzare col suo prossimo ma anche di auto ripararsi con una opportuna autocritica.
Questo è il profilo storico di soggetti con “bassa tolleranza alla frustrazione” i quali provano a liberarsi dalla sofferenza vissuta come insopportabile togliendo così la vita a sé stessi o agli altri.
Dott.ssa Elisabetta Vellone