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Vengo anch’io?......no tu no
Maggio, una brigata di specialisti della psiche, identificabili come gruppo MIP3 2010 , si adoperano per diffondere la cultura psicologica con colloqui gratuiti ,conferenze, incontri, seminari; molti ci chiedono: perché lo fate? La nostra risposta è ripetitiva: perché il disagio psicologico aumenta nella società le persone di ogni età che risultano sempre più spesso oppresse da malessere indefinito perdendo gioia di vivere e capacità di adeguatezza, fenomeno frequente e diffuso da essere considerato quasi come uno status normale della persona. Nel mondo del tennis ad esempio questo è il periodo dei tornei quale migliore circostanza per gli sportivi e gli amanti dello sport per vivere e condividere le più alte vibrazioni dell’ambiente sportivo?
Partecipare, giocare, vincere, confrontarsi, crescere. Quale migliore occasione per aumentarsi ed espandersi in ulteriori situazioni, conoscenze, scambi e nuove relazioni? Uno dei cardini del benessere personale consiste proprio nella capacità/possibilità di ottenere consensi dal prossimo, di interagire in amicizia ed alleanza con gli altri; ricevere simpatia, stima, rispetto, fiducia e considerazione i quali consistono in un alimento speciale per la psiche umana in grado di appagare il bisogno di appartenenza e di migliore autostima. Il benessere della persona è direttamente proporzionale alla qualità delle relazioni che stabilisce con gli altri. Con tali premesse teoriche desideriamo zoommare con la nostra attenzione su una particolare circostanza della vita del circolo sportivo e che da sola alcune volte lascia evincere tutto il malessere, l’incoerenza e la grettezza che alberga nell’animo umano: la formazione della squadra. In occasione dei tornei di tennis gli organizzatori possono ritenere opportuno inserire nella propria squadra un/a atleta non socio ovvero un atleta socio di altro circolo sportivo. Questa opportunità onora il mondo dello sport quale luogo principe, almeno teoricamente, di spirito sportivo, apertura e cameratismo. Nella realtà dei fatti, però in molte circostanze in cui si decide tale provvedimento si assiste poi ad un fenomeno paradosso. L’atleta esterno viene a trovarsi invischiato in un clima di ostilità non esplicizzata nei suoi confronti quasi a ricordargli continuamente che lui/lei non c’entra niente con quel club. Non si promuove quell’accoglienza necessaria a favorire il senso di appartenenza alla squadra e all’ambiente che gli si è chiesto di rappresentare. Di conseguenza durante le partite il tifo è scarso e l’atmosfera più simile a quella di un ambiente d’esame: “vediamo che sa fare”. Inutile dire che tutto ciò influenza negativamente lo stato emotivo dell’atleta e lo distoglie dalla necessaria concentrazione e voglia di impegnarsi. Il rifiuto è un’arma malevola e potente ed obbliga l’intelligenza ad una reazione che in questi casi può assumere due diverse direzioni a seconda dello stile mentale dell’atleta: non si sente accettato e si deprime, oppure non si sente accettato e si arrabbia. Se si deprime, gioca male e viene eliminato attivandoil coro di pettegolezzi negativi nei suoi confronti ed anche di chi lo ha inserito; se invece si arrabbia può decidere di giocare per se stesso e dare una lezione a tutti quanti dando spettacolo delle sue capacità. In questa circostanza è di prammatica che se un personaggio autorevole presente fra il pubblico quali; un socio che conta, un ex atleta o semplicemente un Vip esprime il suo apprezzamento con battito di mani e frasi di elogio, ecco che il gelo si scioglie, tutti applaudono ed esprimono consenso, il tifo si infuoca e l’atleta riceve il battesimo “ sei dei nostri”. Reminiscenza semitica?
Dott.ssa Elisabetta vellone